Viviamo una settimana in cui su tutti i mezzi di comunicazione si parla di violenza di genere, diritti della Donna, ma sono questioni su cui si dovrebbe puntare l’attenzione in maniera costante.

Violenza fi genere e odio verbale Liliana Segre

LE DROIT HUMAIN è nato nel 1893 affinché anche le donne potessero entrare in Massoneria. In quell’epoca cominciava a configurarsi l’emancipazione femminile così come la pensiamo oggi, e se l’Ordine lavora e si esprime sulla violenza di genere, non lo fa solo per la buona volontà di essere utile al Progresso dell’Umanità, ma perché è costituito da donne. La sua voce, è la voce delle donne che vi lavorano all’interno. Una voce protagonista, dunque, nella battaglia per i diritti femminili ma anche di tutti gli emarginati, le minoranze, gli esclusi.

Pubblichiamo oggi, alla vigilia della giornata internazionale contro la violenza di genere, un documento realizzato da un gruppo di studio volontario costituito da Fratelli e Sorelle della Federazione Italiana del Droit Humain in collegamento con alcune Logge delle Federazione Francese e della Federazione Belga, denominato «Brèves d’Europe».
Rispetto alla violenza di genere nel suo insieme, si tratta di un focus sull’odio verbale. È possibile leggere o scaricare qui il file in pdf.

Questo documento è stato presentato alle altre logge dell’Ordine nella prima metà di quest’anno. Lo pubblichiamo oggi volentieri perché inedito, contiene spunti di riflessione utili per una condivisione più larga e perché aiuta a fare il punto su ciò che l’Italia e le istituzioni internazionali stanno facendo sulla violenza di genere in particolare esercitata sul web.

Per noi Massoni del Droit Humain la difesa dei diritti continua ogni giorno e non si ferma alle ricorrenze e alle celebrazioni. Ecco quindi che ancora oggi ricordiamo la forza e la volontà di una donna come la senatrice Liliana Segre che uscita dalla sua tragica esperienza di vita ha portato e porta testimonianza ed esempio ancora oggi.

Cause ed effetti – Le problematiche che investono il mondo e l’Europa, in Italia portano a un aumento della violenza verbale e fisica, ancora senza esplosioni di conflitti di piazza. La difficoltà economica perdurante negli anni, l’essere in prima linea per l’immigrazione, l’immaturità politica, si mescolano a quelle generali rendendo acceso il clima politico e sociale anche nei social media.

Un mondo onlineI dati del Global Digital Report 2019 sull’utilizzo della rete e dei social media delineano una umanità sempre più connessa nel web: 4,4 miliardi di utilizzatori indicano, rispetto all’anno precedente, un incremento del 2%; 3,5 miliardi sono sui social media – con un incremento del numero di utenti del 75% rispetto a cinque anni prima.

Definizione di Hate Speech – La Commissione Europea ha tentato di dare una definizione dello Hate Speech  (Recommendation No. R (97) 20 of the Committee of Ministers to Member States on “Hate Speech”), ma essendo questa qualità di “odio” legata non tanto alle parole ma ai fatti conseguenti, una definizione precisa è ancora materia di riflessione.

IL QUADRO NORMATIVO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI DELL’UOMO

In ogni caso, il quadro normativo internazionale sui Diritti dell’Uomo è abbastanza chiaro anche se non condiviso da tutte le nazioni. La Dichiarazione Universale sui Diritti Umani del 1948 è un modello di riferimento oramai riconosciuto nel quale la Massoneria ha svolto un grande ruolo ispiratore.
A questo documento internazionale che l’Italia ha firmato, si aggiunge una Costituzione tra le più complete e garantiste al mondo. Quello che manca, oggi, è la sua integrale applicazione.

Legislatura italiana – Le proposte di legge sul controllo dell’hate speech presentate in Italia al Senato (DDL n. 634, Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di contrasto dell’istigazione all’odio e alla discriminazione) o ancor più quella annunciata dal deputato Luigi Marattin sulla schedatura degli utenti dei social, appaiono strumenti inadeguati o irrealizzabili.

Educazione e risveglio emotivo – In Italia, nonostante sia stata tolta la materia dell’Educazione Civica dalla scuola, si registra un risveglio emotivo contro l’odio e la violenza praticata dentro e fuori la rete.
Questa è, forse, la vera notizia per i Fratelli degli altri Paesi Europei.
I giovani sembrano mobilitarsi in numerose e inaspettate manifestazioni pacifiche rivolte variamente contro l’odio in rete e nella politica e per motivi ecologisti sulla scia di quello che avviene in altri Paesi nel mondo.

Liliana Segre

Liliana Segre da bambina

La commissione Segre. L’importanza e la necessità di arginare l’incitamento all’odio e il linguaggio dell’umiliazione (Hate Speech)

Ho 89 anni. Sono italiana ma 76 anni fa poco importava. Sono ebrea, fui deportata ad Auschwitz. Un numero sul braccio: 75190. Della mia storia non ho parlato fino a sessant’anni. C’è un tempo giusto anche per parlare. Da allora sono andata soprattutto nelle scuole; ai giovani raccontavo nella speranza di scongiurare che la storia, la mia ma anche la nostra, non si ripetesse.

A pronunciare queste parole è Liliana Segre. Nel 2018 è stata nominata Senatrice a Vita della Repubblica Italiana: “Per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. In tanti l’hanno elogiata, altri si sono scatenati sui social (e non solo). La sua colpa? Quella di 76 anni fa: essere ebrea. L’hanno ricoperta di epiteti. Hanno cercato di umiliarla ma lei non si è data per vinta. A 89 anni ha reagito contro un vecchio fenomeno con un nome nuovo: lo Hate Speech.

Così lo scorso novembre il Senato italiano ha approvato la sua Commissione Straordinaria “Per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza”. Nella Commissione, ci sono 25 membri i quali hanno il compito di osservare e raccogliere dati e notizie. Come prevede l’articolo 82 della Costituzione italiana, questa Commissione, come tutte le altre, non si può sostituire all’attività giudiziaria, ma può affiancarla. Nel suo testo si legge che oltre al compito di osservare ha anche quelli di: “di studio e iniziativa per l’indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche”.

PROLIFERANO LE COMMISSIONI MA OCCORRE UN’AZIONE COMUNE

Serviva realmente un’altra commissione? In Italia esistono già organi di controllo e abbondante materiale legislativo.

La legge 16 giugno 2016 n 115 attribuisce rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoà e di tutti gli atti di genocidio e di crimini contro l’umanità. Esiste già la Commissione Jo Cox contro fenomeni di odio, xenofobia e razzismo (deputata presso la Camera dei Comuni del Regno Unito, uccisa il 16 giugno 2016 mentre si apprestava a partecipare a un incontro con gli elettori).

Senza dimenticare l’articolo 2 della Costituzione Italiana che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. E l’articolo 3 che enuncia il principio di uguaglianza: “Senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali”.

Ma il 2 giugno del 1946 si poteva forse prevedere la rilevanza anche penale nell’era della rivoluzione tecnologica? Basti pensare che oggi soltanto Facebook ha 2 miliardi di utenti.

L’ODIO NELL’ERA DIGITALE E I RIMEDI INEFFICACI

“Odiare si è sempre odiato. Ma la possibilità di operare in anonimato frena lo scattare di quei meccanismi di pudicizia, psicologica o istituzionale, che di solito bloccano gli individui dall’esprimere tutto quello che pensano, compresi i sentimenti più cattivi, generalmente non accettati nel mondo offline”, dice Valerie Nardi nel suo “I discorsi d’odio nell’era digitale”.

Per arginare il fenomeno dell’anonimato si è quindi parlato di una carta di identità, ovvero che l’accesso ai social sia possibile solo con un documento, procedura già attiva per alcuni personaggi famosi. Questi ultimi, per contrastare un altro fenomeno, quello del furto di identità, hanno quella che si chiama “spunta blu” sui vari network che garantisce che siano veramente loro. In altre parole, forse odiare mettendoci la faccia o comunque garantendo una rintracciabilità non risolverebbe il problema ma potrebbe rendere le cose più difficili agli haters. Dopotutto, sul web si naviga, cioè si viaggia. E per viaggiare non serve forse un documento valido?

Ma saremmo veramente tutti disponibili, famosi e non, a fornire i nostri documenti? E chi poi, nel caso, avrebbe titolo a rendere ciò obbligatorio?

PER UNA MOBILITAZIONE UNIVERSALE

Il problema è che forse ci vorrebbe un accordo internazionale. A poco servono leggi italiane, nuove o vecchie. Il mondo del web ha bisogno di una mobilitazione universale.

Fadi Chehade’, ex presidente ICANN e consulente Onu per il mondo digitale dice: “Nelle mani di pochi privati si concentra un potere globale. Serve una coscienza interna alla Rete e una governance condivisa. Non bisognerebbe mai dimenticare che la maggioranza dei legami sui social sono positivi, anche se non fanno rumore, perché il web non può separare i buoni rapporti da quelli cattivi. Pensiamo all’ideale, cristiano ma non solo, della fraternità universale: non credo esista una infrastruttura al mondo che possa favorire l’unità del genere umano più di internet. Ma finora non ci sono stati adeguati investimenti per creare dei “commun” cioè delle cose comuni, un termine legale che si usa per indicare quello che è a disposizione di tutti sulla rete. Credo che la scrittura delle regole politiche possa essere fatto in modo aperto, partecipato, inclusivo, trasparente con governi, imprese e singoli operatori. Una collaborazione pubblica e civile”.

Un grande passo è stato fatto a Bruxelles nel 2016, anno in cui è stato varato il Codice dell’EU per contrastare l’illecito incitamento all’odio online. Grazie a questo Codice le organizzazioni della società civile, le autorità nazionali e le piattaforme informatiche hanno creato partnerati anche per promuovere attività di sensibilizzazione e di educazione.

Oggi le società informatiche che hanno aderito valutano entro 24 ore l’89% dei contenuti segnalati e rimuovono da internet il 72% dei contenuti ritenuti illeciti di incitamento all’odio (contro il 40% e il 28% nel 2016, quando è stato varato il Codice).
Cifre lodevoli anche se in 24 ore si può distruggere una persona soggetta a Hate Speech.
La stessa Vera Jourova, Commissaria Europea per la Giustizia ammette che si possa e si debba fare di più. Più trasparenza sulle notifiche, per esempio, per il momento nelle mani delle stesse società informatiche. Altro problema.

COME SALVAGUARDARE LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE?

Anche se forse, quello più spinoso, che sia della Commissione Segre o della Commissione UE resta un altro: il problema della libertà di espressione, garantito da molte Costituzioni.

“La mia libertà finisce dove comincia la vostra”, ha detto Martin Luther King. Ma chi, anche e soprattutto nell’era della rivoluzione digitale, può decidere il confine fra incitamento all’odio e il diritto alla libertà di parola? In un recente articolo, Michael Sfaradi scrive: “Per esempio, tutte le volte che si sente qualcuno negare il diritto all’esistenza dello Stato di Israele è antisemitismo o semplice imbecillità? Perché l’antisemitismo è illegale, l’imbecillità no. Sulla Commissione Segre avrei consigliato una vera applicazione delle leggi esistenti contro chi palesemente semina l’odio. Preferisco lasciare che i pazzi urlino alla luna se questo può permettere il mantenimento delle libertà a cominciare da quella della manifestazione del pensiero. Con la speranza che le cose vengano messe subito in chiaro prima che gli stessi pazzi prendano le chiavi del manicomio”.

Ma come mettere le cose in chiaro? Una strada potrebbe essere quella di sanzioni più severe. Oscurare i social degli haters per più tempo. Dare più fondi alla Polizia Postale, unico organo in Italia che si occupa di far valere le leggi nel web. Multe pecuniarie più alte ai giornali on e off line (non dimentichiamo titoli come “Bastardi Islamici” comparso sul quotidiano Libero, dopo la strage di Parigi nel 2015. Anche se, il direttore Maurizio Belpietro, è stato assolto dal Tribunale di Milano dall’accusa di offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone con la formula “il fatto non sussiste”).

La Massoneria si basa sul concetto di Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Nel Rituale di Primo Grado, il quinto punto dei precetti Massonici recita “Ama la tua Patria e adoperati per il continuo perfezionamento delle sue leggi”. Può quindi la Massoneria non affrontare anch’essa il tema dello Hate Speech? Non deve forse un Massone sentirsi nel suo piccolo un educatore?

I.t.i.s. Francesco Morano di Caivano

I.T.I.S. “Francesco Morano”, Caivano (NA), dove i ragazzi si sentono protetti, dice la preside Eugenia Carfora.

SENZA LA SCUOLA LE NUOVE GENERAZIONI NON IMPARANO. IMITANO

Forse il punto di partenza anche per noi, come è stato per la Senatrice Segre, potrebbe essere proprio la scuola. Per portare i nostri valori che non possono ammettere l’incitamento all’odio. Ma nemmeno l’intolleranza. Affiancarvi iniziative di volontariato appoggiandoci a strutture già esistenti. E ancora, aprire al pubblico dei dibattiti su questo ma anche altri argomenti a noi vicini.

Dialogare guardandosi negli occhi. Non è una soluzione ma potrebbe essere un inizio.

Io non ho 89 nove anni. Non sono neanche del tutto italiana.
Non sono ebrea. Non sono stata deportata in un campo di concentramento.
Sul mio braccio non ho nessun numero.
Ma oggi io sono, noi siamo tutti.    –     Liliana Segre.