A seguito delle gravi tensioni che continuano a piegare la popolazione del Myanmar e dello scarsa pressione da parte delle istituzioni occidentali sul regime militare, la Federazione italiana dell’O.M.M.I. Le Droit Humain esprime solidarietà con il popolo Birmano tramite questo articolo a firma del nostro carissimo Fratello Fabrizio Turrini, che personalmente ha potuto esperire la natura sensibile della popolazione e della sua spiritualità. In quanto Ordine massonico internazionale, inoltre, riceviamo notizie direttamente dai Fratelli e dalle Sorelle che vivono e lavorano nei territori coinvolti.

Aung San Suu Kyi, “The Lady”.
Non c’è un gran che da vedere, solo un cancello bianco tra alte mura di recinzione. Eppure da qui le guide turistiche birmane fanno passare, anche solo per uno sguardo, tutti i turisti che visitano Yangoon, la ex capitale del Myanmar il nuovo nome della Birmania. Ci sarebbe molto altro da vedere nei dintorni. Il lago Inya su cui si affaccia quella casa è stupendo, circondato com’è da costruzioni, giardini e altre attrazioni che si nascondono tra le numerose insenature.
Eppure ti portano lì davanti a quell’anonimo cancello bianco perché quella è la casa della “Signora” (the Lady) Aung San Suu Kyi. Fino a un po’ di tempo fa fa c’era un’inferriata e si poteva vedere dentro, ma poi anche quel contatto è stato soppresso. Oggi non si vede nulla, solo quel cancello bianco, che però nel cuore di tutti i birmani rappresenta la forza di chi lotta per la libertà.
Qui “the Lady” come la chiamano affettuosamente i birmani ha vissuto rinchiusa agli arresti per oltre 15 anni prigioniera della giunta militare. A dire il vero le avevano lasciato la possibilità di andarsene all’estero, dove vivevano il marito e i due figli ormai grandi, ma non sarebbe potuta più rientrare nel suo Paese. Ma lei, figlia di un generale eroe della guerra di indipendenza, laureata ad Oxford, decisa di dedicare la propria esistenza alla libertà del suo Paese e convinta sostenitrice della non violenza non accettò mai compromessi per migliorare la sua personale esistenza. Rimase.
Premio Nobel per la pace nel 1990
Fortemente influenzata dagli insegnamenti del Mahatma Gandhi e dal buddhismo non derogò di un millimetro dalla scelta radicale e nonviolenta per la libertà del suo Paese. All’estero fu ammirata e premiata le fu assegnato il premio Sakharov per la libertà di pensiero e nel 1990 vinse il premio Nobel per la Pace, ma è in patria tra la gente che la ama che la sua popolarità è stata massima; così ampia da vincere tutte le elezioni, che poi regolarmente venivano annullate dai militari. Di questa popolarità è facile accorgersi, anche per i turisti occidentali parlando con la gente, la guida turistica o il taxista. Aung San Suu Kyi è per il popolo birmano non solo riferimento politico, ma madre, maestra di vita e insegnamento.

Gesto di pace attualmente in uso tra la popolazione birmana. Immagine di RoseAda | Fonte: Myanmar’s graphic
Qualche anno fa, quando ci andai era già in corso quello che avrebbe dovuto essere un processo di transizione, c’erano state elezioni libere ma in molti passaggi i militari avevano lasciato paletti e percorsi poco democratici in maniera da mantenere un certo controllo della vita civile. In quel momento Aung San Suu Kyi faceva comodo per rappresentare presso l’Occidente la faccia pulita del Myanmar, stabilire accordi commerciali, ampliare il turismo.
Ma i militari erano solo nascosti, malcelati dietro un paravento con disegnata l’immagine della libertà. Si intuiva davvero forte il contrasto tra militari e governativi rispetto alla popolazione normale. Parlando con la gente era evidente una grande distanza tra i cittadini comuni e coloro che avevano a che fare con l’esercito e l’amministrazione ad esso legata. Anche la nuova capitale voluta dai militari, Naypyidaw, veniva sentita come un posto per governativi, non una vera città birmana. In un clima diffuso di festa e speranza per le speranze di democrazia e libertà rimaneva sotto traccia il sospetto per le manovre dei militari, le loro possibili azioni.
Il popolo birmano è un popolo gentile, educato da millenni da un buddhismo diffusissimo e sentito. Tutte le famiglie hanno un monaco in casa e moltissimi nella loro vita trascorrono un periodo in monastero. Su queste premesse si è basato il tentativo di Aung San Suu Kyi di realizzare una transizione politica pacifica verso la democrazia. Una strada lunga e piena di compromessi nonostante il sostegno della popolazione. La sua presenza nel governo degli ultimi anni è, a parere di molti stata fortemente condizionata dai militari con cui era necessario confrontarsi in maniera costante. Probabilmente la questione dei Rohingya, che qui in occidente ha fatto molto discutere è stata proprio generata dalla necessità di gestire questo permanente confronto da una parte dei militari che non intendevano cedere nulla del loro potere, dall’altra della fragile spinta democratica, forte del consenso popolare, ma priva degli strumenti del potere.
Dopo l’ennesima vittoria del partito di Aung San Suu Kyi nello scorso novembre, a febbraio il nuovo colpo di stato con annullamento delle elezioni ed il suo nuovo arresto a cui sono seguite manifestazioni popolari soffocate nel sangue. Ad oggi oltre 200 morti e più di 2000 arresti.
Una mobilitazione popolare che non cessa e che si caratterizza, almeno finora dall’essere in prevalenza pacifica nonostante le pallottole vere dell’esercito e della polizia. Dall’Occidente molte sono state le condanne formali, ma poca è stata finora la pressione internazionale sui militari del Myanmar perché cessino le violenze. I militari continuano nella repressione e non ci è dato sapere come finirà.
Come massoni dell’ O.M.M.I. Le Droit Humain non possiamo che condannare ogni violenza e esprimere solidarietà al popolo Birmano. Credo tuttavia sia opportuno cogliere qualche riflessione su quanto accaduto al fine di continuare nel progetto massonico che ha come obiettivo il cambiamento di noi stessi ed il progresso dell’Umanità.

Angel, ritratta durante gli scontri poco prima di perdere la vita.
Innanzitutto credo sia opportuno riflettere sull’esempio di tolleranza ispirato da una lotta pacifica che rifiuta di rispondere con la violenza alla violenza. Non ci è dato sapere cosa sarà nel futuro, ma questo è il dato di oggi, la resistenza dei birmani è ostinatamente pacifica. Le caratteristiche di questo grido che chiede libertà e democrazia sono simboleggiate da Angel, la ballerina e campionessa di taekwondo di 19 anni caduta nelle strade di Mandalay.
La frase “Everything will be ok” scritta sulla maglietta che la ha accompagnata nell’ultimo istante di vita è un esempio per tutti poiché accompagna la determinazione di lottare per i propri diritti alla serenità, alla fiducia nel futuro anche nel momento più buio. La certezza che, comunque vadano le cose visto il grave pericolo per la propria incolumità, così facendo la propria pietra nella costruzione del Tempio dell’Umanità troverà il giusto posto. Angel era perfettamente cosciente del pericolo, tanto che aveva lasciato disposizioni precise in caso le fosse successo qualcosa:
“Se non sono in buone condizioni non salvatemi, donate i miei organi e contattate mio padre”.
Tuttavia la determinazione ed il coraggio di fare comunque la propria parte la hanno portata davanti ai poliziotti armati ad urlare “Non scapperemo ma non versate il nostro sangue!” ricevendo in risposta un proiettile in testa. Il suo corpo è rimasto sull’asfalto, ma il suo messaggio è andato oltre alla sua personale esistenza, è entrato nella mente di tante altre persone in tutto il mondo ed è anche compito nostro, recependolo e ricordandola, dare maggiore significato al suo sacrificio e alla sua vita.
Lo stesso si può dire del gesto di suor Ann, una suora cattolica scesa in strada nella sua città supplicando in ginocchio le forze di sicurezza di non sparare sui giovani manifestanti. Una foto dal forte significato simbolico che rapidamente si è diffusa nei social. Sorprendentemente il gesto di suor Ann ha ottenuto realmente, se pure solo per quel giorno ed in quel luogo, l’obiettivo desiderato. Le forze di polizia non hanno attaccato.
Ma aldilà del successo momentaneo ottenuto in quella circostanza, è giusto sottolineare che il significato simbolico che la foto di questo gesto ha portato in ogni parte del mondo non è solo riferito alla particolare situazione del Myanmar. Quel gesto, quell’immagine ha richiamato alla mente la forza della ragione, della speranza contro la violenza, la capacità di guardare chi è pronto ad usare la forza, non come un nemico da uccidere ma un essere umano esattamente come noi, un fratello capace di comprendere, di rinunciare alla violenza. Sono insegnamenti di altissima portata qui riassunti in poche parole, ma che rappresentano una forte spinta per un passo in avanti nel progresso della civiltà Umana e della civile convivenza.
I milioni di persone che hanno guardato questa foto hanno velocemente sentito queste sensazioni, hanno sfiorato per un attimo la possibilità di condividere la forza della piccola suora birmana. Tuttavia la memoria dei social è purtroppo molto breve, e non ci vorrà molto perché tutto questo sia dimenticato, relativizzato.
Il compito della Massoneria in quanto società consapevole
Compito della parte più consapevole della società, ed in questa è giusto inserire a pieno titolo la Massoneria, è far sì che non venga dimenticata questa lezione, è rendere viva e costante la forza di quell’immagine affinché non solo nel Myanmar, ma anche nel resto del mondo vincano Libertà Uguaglianza e Fratellanza, giacché le prime non possono essere universali ed esistere pienamente senza quest’ultima.