Massoneria, Le Droit Humain: senza cittadinanza non c’è uguaglianza
Parliamo di Massoneria e cittadinanza. Un discorso sulla Fratellanza non può prescindere dall’evidenza che l’essere umano, istintivamente, non è votato a questo ideale sentimento: la lotta per la sopravvivenza delle specie – come ha rivelato Charles Darwin già nell’Ottocento – continua a pulsare nel nostro sangue con impulsi di ferocia, di prevaricazione, di “mors tua vita mea”. Lo stesso Sigmund Freud, nel suo Psicologia delle masse e analisi dell’io, aveva precocemente anticipato nel 1921 come le pulsioni di branco dell’animale-uomo avrebbero potuto germinare feroci dittature sostenute dal consenso delle masse, accecate moralmente nel delirio di transfert sul Capo sanguinario.
Il nostro individuale lavoro massonico incessantemente opera sulla nostra pietra grezza per ritrovare la morale naturale, e la nostra testimonianza nel mondo profano ci impone di interagire perché l’educazione all’inclusione si esprima anche in Dichiarazioni, Costituzioni, Leggi che indichino ai cittadini che la fratellanza è possibile. La prima parte di un importante documento da noi pubblicato in questa nostra riflessione ha per titolo Massoneria come metodo pedagogico. Le Droit Humain: massoneria dell’inclusione (2022).
Massoneria e Cittadinanza. Secondo il Droit Humain, Educare è accogliere
Educazione quindi. Scuola dell’obbligo per i bambini e i ragazzi sino ai 16 anni, oggi in Italia. Scuola italiana che da mezzo secolo, applicando progressivamente le intuizioni dei grandi maestri della pedagogia mondiale (tra i quali, ricorda il documento, diversi membri del Droit Humain) forma i suoi docenti a educare “tutti e ciascuno”, con strategie inclusive misurate sulla classe e sull’individuo che incoraggino il progresso, un passo alla volta, di ogni allievo secondo il suo potenziale, di obbiettivo in obbiettivo verso un traguardo di fine ciclo che lo abbia reso più consapevole ed autonomo nella ricerca, nell’espressione di sé e dunque del suo ruolo nel mondo in cui vive.
Sin dalla Costituzione Corsa del 1755, scritta dal Massone Pasquale Paoli, che ispirò le “massoniche” costituzioni statunitense del 1787 e francese del 1789, si parla di “cittadini”, di “diritti dei cittadini”. Ma come si diventa cittadini di una nazione?
IUS SOLI o IUS SANGUINIS?
Gli Stati riuniti nell’Organizzazione delle Nazioni Unite adottano sostanzialmente due procedure di legge.
– lo IUS SOLI
– lo IUS SANGUINIS
variamente corrette e declinate secondo la storia, le tradizioni, e lo sviluppo della coscienza civile di quel Paese.
Lo IUS SOLI, recita l’Enciclopedia Treccani, è il « Principio del diritto per cui la cittadinanza si acquisisce automaticamente per il fatto di essere nati nel territorio di un determinato Stato»;
lo IUS SANGUINIS è il «principio del diritto per cui un individuo ha la cittadinanza di uno Stato se uno dei propri genitori o entrambi ne sono in possesso».
L’interessante rapporto Delmi-GLOBALCIT (Global Citizenship Observatory) “How Citizenship Laws Differ: A Global Comparison” (22 novembre 2018), realizzato dall’European University Institute, ci rivela che lo IUS SOLI è ampiamente prevalente nei Paesi anglosassoni, Spagna, Francia e Germania e nelle tre Americhe, mentre lo IUS SANGUINIS è diffusissimo nel resto dell’Europa (Italia inclusa), in Asia e in Africa.
Ciò che è certo, è che il cittadino senza cittadinanza ha enormi difficoltà a vedere riconosciuti i diritti fondamentali, e certamente è escluso dalla comunità nazionale. Come scrive Elena Granaglia nel suo Uguaglianza di opportunità. Sì, ma quale? (appena pubblicato da Laterza):
L’uguaglianza di opportunità è oggi uno dei valori più richiamati nel discorso pubblico ed è al cuore del pilastro europeo dei diritti sociali, del modello dello stato di investimento sociale, dell’Agenda dello sviluppo sostenibile nonché di diverse missioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Ciò che contraddistingue l’uguaglianza di opportunità è la distinzione fra un «prima», dove le disuguaglianze sono considerate inaccettabili e vanno livellate, e un «dopo», dove le disuguaglianze vanno accettate. Lo spazio dell’uguaglianza di opportunità è il «prima». Possiamo pertanto avere diverse concezioni di uguaglianza di opportunità a seconda di dove si pongano i confini fra «prima» e «dopo» e del modo in cui si configuri l’intervento nel «prima», ossia, di come si definisca il «cosa», le opportunità da livellare, e il «come» livellare, ossia, quali ostacoli/colli di bottiglia rimuovere e attraverso quali politiche. Sgombrando il campo da semplicistiche opposizioni fra uguaglianza dei punti di partenza e uguaglianza dei risultati, come vedremo, la stessa uguaglianza di risultati può rappresentare una concezione di uguaglianza di opportunità che più di altre sposta in avanti la linea di demarcazione fra i due spazi del «prima» e del «dopo».
Il “prima” dell’uguaglianza non può durare 18 anni
Lo IUS SANGUINIS attualmente vigente in Italia è dettato dalla Legge 5 febbraio 1992, n. 91 2 “Nuove norme sulla cittadinanza”. L’articolo 1 recita: «È cittadino per nascita il figlio di padre o di madre cittadini». E se il minorenne non è figlio di un padre o di una madre già italiani quando nasce? L’articolo 4, comma 2 recita: «Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data». Nelle scuole dell’obbligo italiane (infanzia, primaria, secondaria di primo grado e primo biennio della secondaria di secondo grado) studiano oltre 800.000 minorenni senza cittadinanza italiana. Grazie alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rights of the Child – CRC, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la Legge n. 176) hanno diritto all’istruzione gratuita, all’assistenza sanitaria gratuita. Ma non hanno tutti i diritti: in ogni classe italiana ormai siedono 3-5 minori con cittadinanza “straniera”; mano a mano, crescendo cominceranno a trovare molte porte chiuse: non potranno muoversi liberamente nell’Unione Europea, se extracomunitari, e quindi non potranno in alcun modo partecipare ai progetti Erasmus. Quando entro i 19 anni si ricorderanno di fare formale richiesta di cittadinanza, la attenderanno a lungo, a volte anni, frustrati dai mille lacci e lacciuoli della poco simpatica e fluida burocrazia amministrativa dello Stato italiano, e così via: non otterranno un mutuo in banca per acquistare una casa, avranno difficoltà ad affittarne una, non potranno avviare un’impresa, eccetera.
E se ci fosse uno IUS CULTURAE?
Dal 1992 più volte molti parlamentari hanno tentato di sbloccare questa evidente disparità nelle opportunità per i giovani italiani: in una classe primaria o secondaria farete sempre più fatica a distinguere un bambino di origini autoctone o caucasiche da un bambino di origini diverse, in particolare considerando le capacità metacognitive, la voglia di imparare, spesso superiore a quella dei coetanei di origini italiane. Un drammatico calo demografico ha già investito la scuola dell’infanzia italiana (costringendo a chiudere sezioni, classi, e a lasciare a casa molti docenti precari di quella fascia), e sta portando a radicali cambiamenti dell’economia del Paese, del lavoro, del tempo libero, del sistema previdenziale, nell partecipazione alla vita collettiva, e fornisce dati sulla base dei quali vengono disegnate persino nuove leggi. Perché lasciare fuori quasi un milione di ragazzi e ragazze da un futuro che è già il loro e il nostro?
Niente da fare: nell’ultima legislatura una proposta di legge del parlamentare Giuseppe Brescia sino a giugno 2022 ha proseguito il suo accidentato percorso legislativo come testo unico senza farcela. Gli articoli erano solo 2, a modificare la Legge 1992. Nella relazione introduttiva al Senato si leggeva:
«L’ articolo 1 introduce una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza in seguito ad un percorso scolastico (c.d. ius culturae), mediante modifiche ed integrazioni alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, che attualmente detta la disciplina della materia. In particolare, l’articolo 1, al comma 1, lettera a), introduce alcune integrazioni all’articolo 4 della L. 91 del 1992, tese a favorire l’acquisizione della cittadinanza ai minori stranieri, nati o entrati in Italia nei primi anni di vita. Nel dettaglio, la proposta di legge prevede che acquista la cittadinanza italiana il minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età e che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia, qualora abbia frequentato regolarmente, ai sensi della normativa vigente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale».
Cosa ci sarebbe di così preoccupante nel rendere questi bambini e questi ragazzi uguali ai nostri figli? Prevarrà uno spirito di Fratellanza, nel nuovo Parlamento?